RONCHI, IL MANDARINO ROSSO DELLA CULTURA EMILIANA

di Massimiliano Mazzanti

Di personaggi bizzarri, da vent’anni a questa parte, il Partito democratico di Bologna ne ha prodotti non pochi, ma Alberto Ronchi ne batte la gran parte, se non tutti. Una laurea in Filosofia, non pare essersi distinto molto nella ricerca e nella riflessione filosofica e, ad ammetterlo, pare essere lui stesso, visto che non segnala nei suoi curriculum pubblicazioni di sorta. Di certo, non pare abbia mai scritto nulla di notevole, ma le viedell’intellettualità, al pari di quelle del Signore, sembrano essere infinite. Le sue, sempre a scorrere le note biografiche che ha fatto pubblicare nei siti che lo segnalano quale attuale assessore alla Cultura del Comune di Bologna, sono tutte strade percorse col tram targato Partito democratico. E sempre nel medesimo ruolo. Ferrarese, entra in politica come consigliere comunale dei Verdi nel 1990 e viene sempre rieletto fino al 2004. Pare che in quel ventennio abbia anche lavorato: all’Arci di Ferrara. Dunque, ecologista, ma con una salda relazione col Partitone che gli consente, per ben tre volte, di diventare assessore a Ferrara con la delega alle Politiche culturali. I Verdi, nel frattempo, spariscono – finendo nel calderone di Sel -, ma Ronchi no, resiste, anzi, progredisce. Nel 2005 fa il salto di qualità, diventando assessore regionale. Ovviamente, alla Cultura. Al termine di questa esperienza, però, qualcosa va storto e, nel 2010, Vasco Errani non lo conferma nel ruolo. Come da sempre accade per i mandarini culturali della Sinistra, qualcuno organizza il solito appello da far firmare e firmato da artisti e intellettuali d’area per protestare contro l’esclusione, ma Errani – per altro, in altre faccende affaccendato e preoccupato – non demorde. Lo ricicla, però, prontamente Virginio Merola, che lo vuole nella sua giunta. A fare cosa? A organizzare la Cultura. D’altro canto, chi meglio di lui, a sentir lui? Il suo stile è semplice: io ho ragione, gli altri non capiscono niente. Non si contano, da quando è seduto sulla nuova poltrona, le liti e i braccio di ferro con altri esponenti della politica e della società bolognesi. Il più noto quello contro Fabio Alberto Roversi Monaco per la mostra incentrata sull’esposizione de La Ragazza con l’orecchino di perla: lui era contrarissimo, in quanto non avrebbe lasciato niente alla città. Infatti, è stato un successo straordinario e, per qualche mese, il tessuto economico cittadino – trasporti, ristoranti, alberghi et similia – hanno goduto di un piccolo antidoto alla crisi. Lui, però, non si è scomposto: non può essere un fiumicello di denaro a scuotere le sue convinzioni; tra le quali brilla anche quella che, più o meno, suona così: la Cultura non può essere per tutti, ma solo per delle élite. Il che può anche essere vero, ma non suona molto di sinistra.  Da ultima, la vicenda Arcigay e liti interne al Pd. Per Ronchi è questione doppiamente capitale: non solo per la simpatia – senza alcun sottinteso, sia chiaro – che lo lega aVincenzo Branà, leader del Cassero; ma, soprattutto, perché lui, in fondo, all’Arci è legato sentimentalmente a triplo filo e l’idea che fosse stata proprio una consigliera del Pd - Raffaella Santi Casali – a chiedere che questa associazione, nei rapporti col Comune, fosse messa al pari di chiunque altro, proprio non è riuscita a digerirla. Dunque, non solo si è impegnato a svuotare di reale significato il documento oggi licenziato dal Comune, ma ha pure attaccato frontalmente la Santi Casali, negando che fosse mai stata offesa. Ora, la cosa più carina che è stata gridata alla Santi Casalli è omofoba, che non è solo un insulto, ma anche un accusa che potrebbe – secondo il nostro ordinamento recentemente modificato – avere anche conseguenze penali. Ma tant’è, Ronchi dice che non è un’offesa e guai mai contraddirlo. Ma per rendere ancor più chiaro il suo pensiero, Ronchi ha anche detto al Pd di farsi gli affari propri, di non pretendere dall’Arcigay scuse alla Santi Casali – da lui, poi, nemmeno sognarlo… -, ma, semmai, di valutare se non sia il caso che alla stessa Santi Casali non venga imposto di dichiarare esattamente il suo pensiero in diverse materie di interesse politico. Una specie di test, quello a cui si riferisce Ronchi, che tanto assomiglia a quel genere di processo sovietico, in cui l’imputato doveva ammettere determinate colpe e chiedere lui stesso di esserne emendato con una punizione da lui stesso proposta e accettata. Il Pd è andato su tutte le furie, ma è bene che faccia attenzione. Molta attenzione. Se dovesse costringere ora alle dimissioni Ronchi – vista la figuraccia di Francesca Barracciu, il sottosegretario che ha adottato il Ronchi-Style nel battibecco con Alessandro Gasmann – non sarebbe escluso ritrovarlo al fianco del suo concittadino, Dario Franceschini, il quale è ministro. Dei Beni culturali. Buonanotte, popolo…

inserito da domenico marigliano blogger

 

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